venerdì 10 dicembre 2010

I video del Milano Jiu Jitsu Challenge

L'inizio, quando ero ancora fresco e concentrato:



la fame:



a un'ora dalla lotta:


La sconfitta lampo, provo un armlock ma l'avversario mi schiaccia e fa battere:

giovedì 2 dicembre 2010

Quote del giorno




"Possiamo dire agli altri di avere fede in quello in cui abbiamo
fede noi. Quello che abbiamo trovato così importante da spingerci a combattere. Non si tratta di avere ragione o torto, ma di quanta fede sei disposto ad avere. È` questo a decidere il tuo futuro." - Hideo Kojima / Solid Snake

martedì 30 novembre 2010

La disfatta in Gallia



Un po' mi ripeto che dovrei essere felice per aver debuttato nel BJJ, certo è che la realtà non posso negarla, e cioè che in parte per colpa mia, in parte per potenti forze cosmiche suine a me opposte, la trasferta milanese si è rivelata un discreto disastro.
Iniziamo col dire che erano due giorni che mi svegliavo alle sei e, non essendo abituato, ero già leggermente debilitato. Sabato mattina arrivo al palazzetto alle 9:20, mangio giusto un po' di frutta secca e cerco di concentrarmi. Alle cinque ancora non avevo lottato, il sonno saliva e pure la debolezza.
Per la stupida paura di non riuscire a rientrare nel peso (tetto massimo 94.3) non avevo più mangiato, ciò ha significato che quando mi hanno chiamato sono salito sulla materassina con 9 ore di digiuno.
Il mio avversario (che poi si è qualificato secondo su 13) era duro, ma non così duro. Ho cercato di oppormi un po' ma dopo esser stato proiettato ci ho visto nero, avevo il campo visivo ristrettissimo e la lucidità in panne. Ho battuto su uno strangolamento quantomeno velleitario, ma complice il tutto mi sentivo davvero svenire. Oltre il danno la beffa, sulla bilancia ho fatto 90.3, 4 kg sotto il peso della categoria, avrei potuto mangiare un cinghiale.

Esco dal palazzetto con l'idea, quantomeno, di abbuffarmi al Giapponese come un maiale dopo due mesi di dieta ferrea. Sfortuna volle che dopo i primi piatti mi prendesse la nausea, ergo sono finito a bere solo l'acqua zuccherosa della macedonia.
Usciamo dal ristorante con un'ora di anticipo, e, naturalmente, io e i miei sfortunati amici troviamo tutti i semafori rossi e il traffico del sabato sera milanese.
Ovviamente perdo il treno del ritorno che, per giunta, mi parte in faccia.
Dopo aver passato un'altra notte in albergo e dopo varie peripezie riusciamo a giungere verso l'una alla stazione centrale. Il mio biglietto era ovviamente No Cambio No Rimborso e per questo sono stato costretto a ricomprarlo, altri 90 euro.
Non avendo i soldi per il pranzo, mangio un pacchetto di patatine e alle 14:15 riparto.


Il Torino challenge è a Marzo, mi allenerò duro e spero di rifarmi, assicurando a me stesso che non farò più errori da niubbo come il non mangiare...sfiga permettendo.

lunedì 22 novembre 2010

La dieta che procede




A 88.5 kg sono pronto per il Milano Jiu Jitsu Challenge.(http://www.milanochallenge.com/)

Non è tanto l'aver perso 62 kg che mi rende felice, ma il fatto di essere arrivato a competere agonisticamente in una disciplina dura come il BJJ.

Chi mi conosce sa che il mio traguardo ultimo, il mio sogno, sono le MMA, ciò non toglie che questa sia una tappa importantissima della mia evoluzione personale e sportiva.

Come sempre darò il massimo, Ibis Redibis non morieris in bello.

lunedì 8 novembre 2010

La preparazione: non solo fisica

Fuori piove come si deve, e io sono appena rientrato. Mi piace la pioggia perchè mi aiuta a pensare. Non credevo che Roma fosse così piovosa, ma certo è una cosa da poco conto rispetto a ciò che questa città sta facendo per me.

Se dovessi citare un celebre film, direi che sta riallineando le mie percezioni. Non ho mai avuto dubbi riguardo le facoltà divine ed energetiche dell'Urbe, non fosse per tutto quello che è nato e che è morto sulla stessa terra che io calpesto ogni giorno.

Ripensando al passato, a quando vivevo a Chieti cioè, non provo nostalgia nemmeno per un secondo, anzi mi sembra di non riconoscermi nelle vesti di quella persona che prima ero.
A confronto con ora, mi vedo come un ragazzino che in ogni modo cerca di barcamenarsi o come dire, sopravvivere dentro una gabbia di matti senza avere egli stesso i mezzi che conducono alla sanità mentale. Certi mezzi ce li ho sempre avuti dentro, ma in altri luoghi erano irrealizzabili.

Di mese in mese mi vedo cambiare, profondamente, e sento che sto scoprendo sempre di più qualcosa di migliore che già era nel mio animo e che non riuscivo a tirare fuori.
La strada principale percorsa da me per questa evoluzione è il Brazilian Jiu Jitsu, mi sta costando sudore e fatica ma ne vale la pena, senza dubbio.

La lotta da qualche anno a questa parte è parte integrante e fondamentale della mia vita, parte di quei concetti positivi che mi spingono ad alzarmi la mattina.
Prima mi allenavo di Pugilato e Sanda (boxe cinese), quindi il mio approccio con il BJJ (brazilian jiu jitsu) non è stato facile. Negli stili che consentono colpi è premiata, nel combattimento, la forza, l'aggressività, il colpire duro quasi si fosse rabbiosi, ma nel BJJ non è così.
I primi giorni in palestra erano un disastro, lottavo come un animale che cercava di finire una preda ferita, il risultato era vedermi continuamente sbattuto a terra, finalizzato con leve e strangolamenti e a dirla tutta mi facevo anche male. Tornavo a casa stanchissimo e pieno di lividi e mi chiedevo "ma come si fa sto' giuggizzu?"
Osservando gli altri, ma soprattutto ascoltando i maestri, ho capito che il vero mezzo per riuscire nel BJJ è la testa, la riflessione. Lo sforzo davvero grande in questa AM (arte marziale) è rimanere lucidi in qualsiasi situazione, anche quando l'avversario è sopra di te e ti pressa il pettaccio sudato in faccia cercando di metterti sotto pressione e farti perdere, appunto, la fermezza per capire come difenderti e come uscire da quella posizione svantaggiosa.
Lottando piano, pensando, cercando di ricordare le tecniche mostratemi, ho cominciato a migliorare, a mettere in difficoltà anche io gli altri e di rado anche a finalizzarli. Ho iniziato col BJJ il 15 settembre, quindi ora sono quasi due mesi che lo pratico. Sono un super novellino ma mi sento assolutamente spronato, vuoi da me stesso vuoi dall'ambiente, a migliorarmi e a farmi valere.
Questa arte marziale non sta cambiando solo in tal senso il mio modo di pensare e vivere, (fermezza e lucidità) ma mi sta spingendo anche a riconsiderare il concetto della vittoria.

Tornando al passato, al mio primo match di Sanda, ricordo che mi allenavo da un anno per il mio riscatto, da obeso a combattente, e ricordo che volevo vincere ad ogni costo. Sono salito sul tatami con la convizione che avrei prevalso e così è stato, ho sconfitto il mio avversario.
Dopo quel match però le cose sono andate diversamente, era come se avessi placato una bestia dentro di me, quella che ognuno di noi (quasi) sente e che molti si costringono a tenere a bada nei modi sbagliati.
Avevo una fortissima voglia di vincere contro me stesso, ma una mancanza assoluta nel desiderio di sconfiggere gli altri, e infatti ho perso, ripetutamente.
Andavo sul tatami per dimostrare il mio coraggio, per divertirmi, perchè amo combattere, ma non per vincere. Non uscivo del tutto sconfitto ma nemmeno vincitore da quegli incontri.
Stando a contatto con le persone con cui mi alleno e col mio maestro, ho riconsiderato questo aspetto.

La lotta in contesto sportivo è la nostra guerra, il nostro campo da gioco, il nostro pathos, ma la nostra apoteosi è la vittoria!
Il concetto di andare a competere per partecipare è un pensiero malato e distorto venuto fuori dalla nostra società finto democratica e corrotta, i nostri antenati che tanto hanno conquistato e ottenuto schieravano forse le legioni per partecipare? Milone di Crotone che ha vinto così tante Olimpiadi di Pankration ci andava per partecipare? Ercole ha affrontato il leone e l'ha soffocato pensando di partecipare? non direi. Assodata la vittoria contro la propria accidia, contro l'indolenza, contro il grasso e la paura, ti nasce dentro il desiderio della vittoria sugli avversari, non tanto per sottomettere loro, ma per te stesso.
Quando sei tu a trionfare hai la prova che le tue tecniche, il tuo corpo e il tuo spirito sono allenati bene, che stai facendo le cose giuste, che non sbagli, ma è proprio il concetto di andare a competere "Per Vincere" che ti fa Vincere, se il tuo assetto mentale non è programmato sulla vittoria, non vincerai.
Un tempo non avrei parlato così, ma come ho detto mi evolvo di continuo e forse non sarò mai sazio, non sarò mai soddisfatto, questo spesso mi genera una certa malcelata ansia, così mi sto preparando in tutti i campi per la mia prima gara di BJJ, che si terrà a Milano il 27 Novembre.

A livello fisico tutto procede a gonfie vele, sono a 92 kg (in perfetto peso per la categoria 94.3), la credenza in cucina è un banchetto di frutta secca e tisane, il mio congelatore sembra il deposito di una macelleria e ormai sono diventato un grande amico del fruttivendolo che ha il negozio poco sopra casa mia. Quello di cui mi sto preoccupando di più quindi è la forma mentis.
Cerco di non lasciarmi turbare dall'incompetenza della segreteria della Sapienza, dalle scorrettezze di quelli che si rivelano falsi amici, dalle mille cose da pagare ecc ecc

La mia vita adesso è una ricerca di serenità, allenamento mattutino, meditazione, allenamento serale, il tutto desiderando la vittoria e lavorando per essere rilassato. In questo mi aiuta sia il mio ritrovato spirito, sia le letture elevate di grandi vincenti del passato a cui mi sottopongo con piacere ogni giorno.

In conclusione, sono convinto che come vada vada non mi arrenderò, che darò filo da torcere ai miei avversari e che sarà solo l'inizio per una persona che affronta la vita con l'intento di trionfare in ogni campo.

lunedì 18 ottobre 2010

Ascia di guerra

Amo i miei avversari

Perchè loro mi rendono migliore

Amo il ricordo che ti lascia una persona cara quando muore

Ogni bambino

Che vada a scuola sentendo la black

O si faccia male per un passo di break

Amo mio padre

E se per lui sono una delusione

Vuol dire che si evolve la generazione

Contento di non girare col coltello

Di non fare distinzione tra amico e fratello

Amo la sfida

E se l'anima lascia questa terra

Potranno seppellire il mio corpo

E non la mia ascia di guerra

Amo le braccia della mia famiglia

Che quando è buio si allargano

Come una pupilla

Amo fare le domande alle risposte che mi danno

Così avrò le risposte alle domande che mi fanno

Amo pregare a modo mio

Che a volte una bestemmia

E' il modo più ingenuo di chiedere aiuto a Dio



RIT: SURFA

Io odio

Il male fatto

Per il puro odio

Perchè mi sale l'odio

Ma odio questo odio

Io amo

Felicità negli occhi

Di chi amo

Rispetto perchè amo

Finchè rispetto amo

Io odio

Il male fatto

Per il puro odio

Perchè mi sale l'odio

Ma odio questo odio

Io amo

Felicità negli occhi

Di chi amo

Rispetto perchè amo

Finchè rispetto amo



HOOK: SURFA

Non uso droga

Anche se a scuola va di moda

Passeggeri dove il terrorista è il pilota

Burattini nelle mani di chi gioca

Urlo anche se di voce me ne resta poca



STROFA: SKUBA

Odio troppe cose

Persone famose in overdose

Ma va in galera l'immigrato che gli ha venduto la dose

Chi vota i criminali e si lamenta

Ogni pubblicità di merendina con la società contenta

Ed ogni poliziotto che si prende sul serio

Tanto viaggio con la testa e lì non c'è autovelox

Ogni black block che ha ridotto

In macerie il negozio

Di chi non centrava un cazzo col G8

Chi pensa che la cocaina sia un elisir

Chi fa le foto al papa morto come souvenir

Le gang, gli slang del bang bang

Non è nato dalla violenza

Ma con le feste di Kool Herc

Odio chi rinnega il passato

La SIAE

Ed il resto della mafia che legalizza lo stato

Quelli che non corrono e restano immobili

Odio la pena di morte

Tranne che per i pedofili

Chi è vegetariano e c'ha il visone

Non poter rispondere ad un professore

Che si sfoga per la frustrazione

Chi c'ha le donne col burka

E c'ha l'harem

Ogni prete che pensa ad altro

Quando dice amen



RIT: SURFA

Io odio

Il male fatto

Per il puro odio

Perchè mi sale l'odio

Ma odio questo odio

Io amo

Felicità negli occhi

Di chi amo

Rispetto perchè amo

Finchè rispetto amo

Io odio

Il male fatto

Per il puro odio

Perchè mi sale l'odio

Ma odio questo odio

Io amo

Felicità negli occhi

Di chi amo

Rispetto perchè amo

Finchè rispetto amo



HOOK: SURFA

Non uso droga anche se a scuola va di moda

Io odio il male fatto per il puro odio

Passeggeri dove il terrorista è il pilota

Perchè mi sale l'odio ma odio questo odio

Burattini nelle mani di chi gioca

Io amo felicità negli occhi di chi amo

Urlo anche se di voce me ne resta poca

Rispetto perchè amo finchè rispetto amo





martedì 12 ottobre 2010

Essere liberi

Cosa vuol dire libertà? Cosa vuol dire essere liberi? E’ un argomento trattato e studiato più o meno da quando è nata la parola in sé. Alcuni dicono che essere liberi voglia dire “fare tutto ciò che ci pare”, altri dicono che “la propria libertà finisca dove comincia quella degli altri”; sicuramente ad affermare queste cose sono stati uomini molto più saggi e sapienti di me, ma mi sento di dire che non sono d’accordo, almeno non totalmente, con queste definizioni di libertà.

Prendendola alla lontana, io direi “libertà è rettitudine”, chi mastica certi argomenti sicuramente avrà capito a cosa mi riferisco e, senza ombra di dubbio avrà compreso che una frase del genere è assolutamente attuale soprattutto al giorno d’oggi. Posto che il cosmo ci ha donato un destino a cui adempiere e da comprendere, non voglio parlare di credenze o religione, ma di sistema – mondo e conseguente opposizione ad esso.

Anticamente – anche se non per tutta la popolazione – era presente nella vita di tutti i giorni un codice, un codex comportamentale. Per noi italiani (romani) era il Mos Maiorum, un elenco di virtù tese a far agire l’uomo secondo giustizia, in accordo con ciò che lo circonda. In particolare, erano presenti la giustizia sociale e la giustizia verso se stessi. Sensus civicus: il concetto di comunità come organo supremo di cui si fa parte, che bisogna rispettare e per cui bisogna lottare, Deditio: l’impegno con cui ci dedichiamo anima e corpo ai nostri obiettivi, Salubritas: il rispetto del proprio corpo, LIBERTAS: libertà da tutto ciò che soggioga e corrompe. Come si può vedere i mores (maiorum) sono tanti, ma la definizione di libertà per i romani è attinente a ciò che ho scritto poco fa, essere liberi di non far parte del marcio che ci circonda e questo, che lo si capisca o meno, si può ottenere solo attraverso la rettitudine.

Essere fermi, capaci di agire in armonia con sé stessi, privi di timore per quello che potrebbe accadere, liberi da condizionamenti esterni. Basta passeggiare per le strade delle città più grandi (ma anche di popolazione media ormai) del mondo per rendersi conto di quanto si sia esteso nel territorio globale il dominio americano. Mcdonald’s, Starbucks, mentre i servi del gioco capitalistico gioiscono per l’arrivo di queste catene mangiasoldi le persone sane di mente si chiedono, Mcdonald’s fa cibo buono? Noi dobbiamo farci fare il caffè dagli americani? In sostanza, avevamo bisogno di tutto questo? No, la risposta è no. Se ci fosse ancora il Sensus Civicus noi ameremmo essere italiani, ci terremmo a rispettare la nostra tradizione pur senza fossilizzarci dentro i nostri confini. La realtà è che NON siamo liberi di scegliere, la verità è che ci stanno trasformando in un massa informe di americani obesi e drogati. Le persone si credono libere fumando gli spinelli, andando a manifestare contro Berlusconi e seguendo i discorsi dei vari capi popolo come Beppe Grillo o Marco Travaglio, ma non sono liberi, gli viene imposto di seguire il modello del “falso rivoluzionario” dai film, dalle magliette con la faccia di Che Guevara, dai vecchi e inossidabili (quanto inutili) partiti.

La base per una rivalsa dovrebbe essere comprendere questo meccanismo, è inutile andare in piazza a manifestare contro questo o quell’altro se si è schiavi o corrotti dentro. Iniziamo per prima cosa a farci delle domande “cosa è successo al mio paese?” Il nostro paese non esiste più, non è in mano nostra probabilmente da molti molti decenni e la maggior parte delle persone non se ne accorgono. La globalizzazione è un male perché distrugge la tradizione di un popolo, e distruggendone la tradizione ne annienta l’identità. Non siamo più italiani, tedeschi, inglesi e francesi, fra qualche anno – ma già ora – saremo tutti americani, molti già lo sono. Non esiste più l’Italia con la sua cultura latina e romana, non esistono più o quasi più i francesi e così via, esistono un paio di superpotenze egemoni che attraverso il vero mezzo di potere degli ultimi due secoli, ovvero il denaro, gestiscono l’andamento del mondo e decidono come deve andare. Non sono un economista né un antropologo, ma tutto ciò che sto scrivendo è sotto gli occhi di tutti.

Un’altra domanda che dobbiamo porci è “Come mi vuole il sistema?” in un mondo in cui il dominio è economico e falso democratico, per ovvie ragioni i pochi che hanno potere, gli stessi che inventano crisi e incassano dollari con guerre combattute per ragioni tutt’altro che idiologiche, desiderano un cittadino privo di identità, debole e manovrabile. Cosa c’è di meglio quindi dell’obeso cliente abituale del mcdonald’s, stressato per le troppe sigarette e per i vestiti di marca che non gli cadono bene poiché sovrappeso, frustrato per il posto di lavoro che non riesce ad ottenere e che si consola immedesimandosi nei calciatori davanti alle partite o sognando di essere coi tronisti nello studio Maria De Filippesco? Nulla, stanno ottenendo esattamente ciò che vogliono. Cosa vince su tutto? L’inedia, l’accettare lo stato malato delle cose, il credere di fare qualcosa condividendo dei link di protesta sui social network.

E infine, cosa si può fare? Cosa possiamo fare perché il nostro paese ritorni autonomo? Probabilmente chi la pensa come me non vincerà, probabilmente questo è un processo irreversibile, ma si deve provare, bisogna reagire, combattere. Dobbiamo essere LIBERI di dire NO a quello che vogliono imporci, io non guardo la tv, io non mangio al mcdonald’s, io non sogno il vestito di marca e la macchina, io non fumo, io non mi drogo, io voglio essere una persona forte e autonoma, voglio veder risorgere il mio paese per quello che è, con la sua identità. Iniziamo quindi a boicottare tutto ciò che c’è di negativo, smettiamola di arrenderci all’inedia e, prima di credere di essere dei nuovi Che Guevara o dei nuovi Benito Mussolini, curiamo noi stessi. “Mens sana in corpore sano”, quando dici “mi iscriverò in palestra”, limita le parole e fallo, quando dici “devo perdere dieci kg”, non aspettare, fallo. Condurre una vita sana e scevra dall’attitudine autodistruttiva della nostra epoca è solo il punto di partenza, osare, agire, è la base per costruire la nostra persona. Inizieremo a studiare, a informarci dalle varie fonti senza berci come pecore le idiozie delle testate giornalistiche schierate e dei finti liberatori.

Diventando persone migliori fisicamente e intellettualmente, curando il nostro corpo e la nostra mente come fossero (quali in effetti sono) un dono da preservare, inizieremo ad essere retti, ad essere LIBERI di combattere per ciò che è giusto. Non parlo di odio per gli altri paesi o per le altre culture, parlo di amore per se stessi e per la propria terra. Dobbiamo iniziare a pecepire ciò che ci circonda come parte di un tutto di cui facciamo parte, per poi decidere che non dobbiamo esser noi l’anello debole della catena, dobbiamo decidere di essere duri come l’acciaio per poter essere utili almeno di poco se non per l’intera nazione, almeno per coloro che ci circondano. Io sono stato aiutato a sollevarmi dallo stadio di bestia umana, aiuto e aiuterò altri che sono come ero io ad alzare la testa, questa è resistenza, nel nostro piccolo, nel nostro angolo di mondo, capire cosa c’è di sbagliato davvero e cercare di cambiarlo giorno per giorno. Ognuno ha il suo modo per capire e per reagire, l’accademia di arti marziali (Brazilian Jiu Jitsu per quanto mi riguarda) è il mio angolo di libertà nella vita distorta di tutti i giorni, lì io e i miei compagni d’allenamento lottiamo per salvare il nostro spirito ma ognuno ha il suo modo per ribellarsi, per capire cosa deve fare su questa terra e agire di conseguenza, basta solo osare, muoversi, non arrendersi all’inedia.

Io non scrivo da un piedistallo, non credo di essere perfetto, ogni giorno per me è una lotta contro tutto ciò che vorrebbe incatenarmi e riportarmi allo stadio bestiale, ma ogni giorno si tiene duro per cercare di far qualcosa di buono e, se qualcuno leggendomi deciderà di reagire, allora avrò fatto qualcosa di utile e ne sarò felice.

La libertà è rettitudine.

Riccardo Poleggi

domenica 3 ottobre 2010

L'istinto Lottatorio


Ogni uomo ha delle capacità innate, qualcosa che lo diversifica dagli altri: c'è chi è bravo con la matematica, chi con le lingue, chi è capace di costruire i palazzi e così via.

Una cosa c'è che accomuna tutti gli uomini, gli istinti: ognuno di noi ha bisogno di mangiare, bere, espellere, accoppiarsi e lottare. Se nella stessa culla metti de bambini, cosa faranno? lotteranno, questo non perchè siano animali, ma perchè difenderci e attaccare è nel nostro sangue. Chi ha la fortuna di praticare sport da combattimento o arti marziali reali si sarà accorto che tutto ciò che ci insegnano in palestra è dentro di noi, allo stadio grezzo o embrionale, ma c'è.

Per un Romano, una persona che si dice Tradizionale, la cosa dovrebbe essere ancora più marcata. Roma è sempre stata in guerra, è nel nostro codice genetico combattere e farci valere sul campo di battaglia. La lotta è crescita, formazione, lo sapevano bene Giulio Cesare, Alessandro Magno, Platone (che vuol dire "dalle larghe spalle", era proprio un nome da battaglia usato nel pankration). Soprattutto in un mondo come questo, un mondo in cui le persone non fanno altro che fuggire dalla sofferenza, lottare è un'azione di matrice divina, andare addosso alle proprie paure, affrontarle, sconfiggerle ogni giorno sul tatami o sul ring.

Solo combattendo sarà possibile formarsi da Uomini e non da vigliacchi, essere Tradizionali è quindi comprendere a pieno anche l'importanza di questo aspetto formativo del passato. Incominciamo da piccoli con la filosofia e la lotta, e anche da "vecchi", non è mai troppo tardi, solo così avremo la "mens sana in corpore sano", solo così potremo vedere individui forti, caparbi, testardi, saggi, sicuri, fedeli, solo così saremo VERI ROMANI.

Vedo tante chiacchiere, tanti gentili panzoni e ubriaconi, non voglio che Res Pvblica sia questo, voglio vedere uomini intraprendenti e liberi, in forma mentalmente e fisicamente, sempre pronti alla battaglia. Deve essere un dovere morale di ognuno di noi.

Ad majora semper!

sabato 25 settembre 2010

Warrior spirit




"I'm Ready, it doesn't matter with who or where, on foot or on horseback, with maces or poleaxes. To fight, to first blood or to death, it doesn't matter: I'm ready to fight." - Aleksander Emelianenko


giovedì 2 settembre 2010

Tu non sei il tuo lavoro

Non sei la quantità di soldi che hai in banca
Non sei l'auto che guidi né il contenuto del tuo portafogli
Non sei i tuoi vestiti di marca.

La pubblicità ci fa desiderare auto e vestiti, ci fa fare lavori che odiamo per comprare cazzate inutili! Siamo i figli di mezzo della storia, senza scopo né posto.
Non abbiamo la Grande Guerra né la Grande Depressione.
La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita.

La televisione ci ha convinti che saremmo diventati miliardari... miti del cinema... rock star... ma non è così e lo stiamo imparando, e ne abbiamo veramente, le palle piene!

domenica 22 agosto 2010

Perchè è giusto non dare corda alla wicca



[Scritto sul forum "Via italica agli Dèi" - http://vid.forumcommunity.net/]


Mi è venuto in mente di scrivere questo post dopo aver letto "lo spirito del forum", in cui Marzio ci fa giustamente notare che i nostri padri ammettevano e tolleravano le religioni straniere se non ledevano lo stato. E' vero, ma dobbiamo stare attenti, poichè la wicca NON è una religione. Se da un lato bisogna ringraziarla perchè fa riscoprire a molti gli Dèi, il panteismo e tutto ciò che concerne la nostra via, dall'altra va osteggiata. La wicca è stata fondata da un americano (ma va?) negli anni 50, non ha nulla di istruttivo né di tradizionale. So di alcune "streghe" che pregano Llolth, nientemeno che la Dea Ragno degli elfi drow nel gioco di ruolo fantasy Dungeons & Dragons. Oltre a questo, nella wicca sono presenti componenti esoteriche e magiche, cartomanzia, sedute spiritiche / tavola degli spiriti, tutte fandonie ebraiche e non da sempre bandite e combattute a Roma, nella nostra Roma. Non dimenticate l'assurda e infantile ramificazione della christian wicca, persone che credono nella sconosciuta "Dea" senza nome, e in Gesù Cristo.

Pensiamo, se non altro, a divulgare la nostra vera tradizione e la nostra cultura. Ognuno fa le sue scelte, ma da qui a "tollerare" in un forum riguardante le vie italiche gli aderenti alla lobby wiccan, ce ne passa.


E' un mio semplice pensiero.


Riccardo

Film

lunedì 16 agosto 2010

La sindrome del fighter professionista



[Scritto originariamente per il sito mmamania, che non ha voluto pubblicarlo poichè non corrispondente alla propria linea editoriale, scelta che rispetto]


Cosa vuol dire combattere? In primis affrontare i proprio limiti, le proprie debolezze, i propri "demoni". Se per alcuni degli antichi il demone interiore (prima del cristianesimo) era qualcosa di buono, quasi un secondo nome dell'anima quando è nel giusto , per me è un po' un incrocio e una rappresentazione di tutto ciò che ci spaventa, tutto ciò che ci rende deboli e meschini. Cosa c'è di più meschino di credersi qualcosa che non si è?
Io ho 23 anni, ho praticato per anni, da quando ero piccolo, arti marziali tradizionali o senza contatto. E' da nemmeno due anni che ho scoperto quello che è il combattimento reale, ovvero con il contatto, concretizzato per me nel Sanda e nel Pugilato. Al di la di tutti i benefici che può dare il confronto virile a tu per tu con un altro essere umano, bisogna capire che la prima azione per migliorarci è ammettere con se stessi di essere l'ultima ruota del carro.
Prima di approcciare allo sparring ero il tipo che si credeva intoccabile, al pub, con la sua birra e la sua sigaretta al pari degli altri umanoidi. Quando poi ho iniziato a tornare col labbro spaccato o il naso dolorante a casa, ferito facilmente da persone molto più piccole fisicamente di me, ho capito di esser stato leso nell'orgoglio. Ma come! Riccardo, grande e grosso, impossibilitato a far nulla contro un ragazzo di sessanta chili. La mia ottusa mente da borghese autoconvinto non era certo abituata a quel reale confronto tendineo e muscolare privo di chiacchiere. Lì, coi guantoni, le cose si dimostrano, e se non sei in grado di dimostrare ciò che dici vai in crisi, è normale. Allora cosa c'è da fare? Accettarsi e lavorare, lavorare ed accettarsi ogni giorno. Certo, non dobbiamo sottovalutarci, ma nemmeno crederci qualcosa che non siamo. Ed ecco che nel discorso entra il guerriero da tastiera che invece di averli sulle nocche, i calli ce l'ha sui polpastrelli della dita. Nei forum, nei blog, ovunque, recensiscono combattimenti e giudicano gli atleti, elencano i loro titoli e le loro abilità barra esperienze facendosi osannare da altri poveri bimbiminchia. E poi li incontri, faccia a faccia dal vivo con il mito del forum col nome fashion (e grottesco), va da bruce90, a immortaldragon fino ad arrivare a Wanderleidertestaccio e cose del genere. Questi fighter professionisti che a colazione, tra un cucchiaio di proteine in polvere e un uovo sodo, fanno anche i kettlebell, non sono in grado di tirare un low kick decentemente, non conoscono neanche lontanamente le combinazioni di colpi e se vanno a terra quasi si mettono a piangere. Non sono qui per giudicare, sono qui per consigliare. Di botte ne ho prese in questi mesi e ancora ne prenderò, stando zitto, senza lamentarmi e senza arrendermi. Ho continuato ad entrare in palestra fino ad uscirne illeso (non sempre), sono migliorato, ho sudato e ho lavorato. Lasciatemelo dire senza falsa modestia, in poco più di un anno ho fatto più di altri che si allenano da diverso tempo; consapevole però, di essere ancora NULLA rispetto a certi superuomini che ci sono in giro. Bisogna agire secondo natura, ognuno ha la propria, ognuno ha i suoi tempi. Mettetevi in gioco, riconoscete i vostri limiti e finitela di criticare, osannare e adulare. Tenete per voi stessi, amate voi stessi, pensate a migliorare voi stessi così da rendere al massimo ciò che la natura vi ha donato.

giovedì 5 agosto 2010

Chris Leben



Sembra un teppista vero? Non solo d'aspetto, ma anche a vederlo combattere sembrerebbe un pazzo. Resistenza titanica, non crolla nonostante subisca duri colpi, non batte nemmeno dopo diversi secondi di chiave articolare già entrata ai suoi danni. Un vero e proprio toro dallo spirito guerriero. Mi dicono che sia un cocainomane, una cattiva persona.

Chi mi conosce sa che apprezzo la spiritualità e la serenità in un fighter, ma stranamente ammiro molto Leben. Non si può non stimare il suo cuore incrollabile, la sua furiosa indole e il suo coraggio.

Vi lascio un video:

martedì 3 agosto 2010

Aforisma del giorno



"Farsi coraggio a vicenda non vuol dire piangersi addosso insieme."


Mi è venuto in mente dopo aver letto i post di un gruppo su facebook, "amici obesi". Dicevano di darsi forza a vicenda, invece non facevano altro che LAMENTARSI insieme come degli eterni bambini.

lunedì 12 luglio 2010

Genocidio Bianco in Sud Africa

Mentre si disputano le fasi finali del Campionato del Mondo di Calcio 2010, sempre in Sudafrica continuano ad attaccare e ad ammazzare gli agricoltori boeri.
L’articolo che segue, tratto da Censorbugbear Reports e tradotto in italiano, può aiutarci a capire il clima sudafricano, quello che le tv italiane (perse dietro qualche pallone) non vogliono raccontarci.

Attacchi contro gli agricoltori, sintesi di giugno – luglio 2010

Un’ondata di attacchi alle fattorie 4 luglio 2010

Questa sintesi di attacchi alle fattorie, che va dal maggio 2010 fino all’8 luglio 2010 (compreso), è stata realizzata con grande difficoltà, mentre nuove segnalazioni stanno arrivando e vengono vagliate – questo a causa del divieto imposto ai media sudafricani per fermare la pubblicazione di quelle che, il regime della ANC, definisce “notizie di crimini che compromettono l’immagine del paese”.

Nostri membri… hanno dovuto copiare alcune pagine di piccoli giornali locali che non pubblicano sulla rete; e i parenti di DUE agricoltori ammazzati, entrambi il 4 luglio 2010, hanno fornito informazione e prove degli omicidi dall’ESTERO… spedendo copie dei certificati di morte. Desidero ringraziare TUTTI per lo sforzo affinché queste notizie siano pubblicate nonostante la censura del regime della ANC, che utilizza l’organizzazione della Coppa del Mondo del 2010 come scusa per controllare i media – per sempre. Perché la censura continuerà anche dopo il Mondiale del 2010 e noi dovremo darci molto da fare per reperire le notizie. Pubblica i tuoi rapporti da verificare – con più dettagli possibili e possibilmente con fotografie delle vittime e della scena del crimine; e immagini degli articoli tratti da bollettini e quotidiani – anche notizie tratte da forum della polizia, su:

http://www.farmitracker.com/reports

sabato 10 luglio 2010

Paint it Black





I see a red door and I want it painted black
No colors anymore I want them to turn black
I see the girls walk by dressed in their summer clothes
I have to turn my head until my darkness goes

I see a line of cars and they're all painted black
With flowers and my love both never to come back
I see people turn their heads and quickly look away
Like a new born baby it just happens ev'ry day

I look inside myself and see my heart is black
I see my red door and it has been painted black
Maybe then I'll fade away and not have to face the facts
It's not easy facin' up when your whole world is black

No more will my green sea go turn a deeper blue
I could not foresee this thing happening to you

If I look hard enough into the settin' sun
My love will laugh with me before the mornin' comes

I see a red door and I want it painted black
No colors anymore I want them to turn black
I see the girls walk by dressed in their summer clothes
I have to turn my head until my darkness goes

Hmm, hmm, hmm,...

I wanna see it painted, painted black
Black as night, black as coal
I wanna see the sun blotted out from the sky
I wanna see it painted, painted, painted, painted black
Yeah!





Pitturalo Di Nero

Vedo una porta rossa e la voglio pitturata di nero
Mai piu colori voglio che diventi tutto nero
Vedo le ragazze vestite con I loro vestiti estivi
Devo voltare la testa finché l’oscurità dentro me se ne va

Vedo una fila di auto e sono tutte dipinte di nero
Con fiori e il mio amore, entrambi non torneranno
Vedo gente voltare la testa e guardare velocemente lontano
come un bambino appena nato, questo succede ogni giorno

Guardo dentro di me e vedo il mio cuore nero
Vedo la mia porta rossa, devo averla pitturata di nero
Forse dopo sparisco cosi non devo guardare in faccia Il fatto
Non é facile stare a testa alta quando tutto il mondo é nero

Mai piu il mio mare verde tornera di un profondo blu
non potevo prevedere questa cosa che ti sta capitando
Se guardo fisso il tramonto
il mio amore riderà con me prima che arrivi mattino

Vedo una porta rossa e la voglio pitturata di nero
Mai piu colori voglio che diventi tutto nero
Vedo le ragazze vesite con I loro vestiti estivi
Devo voltare la testa finché la l’oscurità dentro me se ne va

Hm-hm-hm-hm-hm-hm-hm-hm-hm-hm-hm-hm-hm (4X)

voglio vederlo pitturato, pitturato di nero
nero come la notte, nero come il carbone
Voglio vedere il sole cancellato dal cielo
Voglio vederlo pitturato di nero,
pitturato, pitturato, pitturato di nero

Yeah

Hm-hm-hm-hm-hm-hm-hm-hm-hm-hm-hm-hm-hm

venerdì 9 luglio 2010

giovedì 1 luglio 2010

Proverbio




“Chi piglia l’anguilla per la coda e la donna per la parola, può dire di non tener nulla."

lunedì 28 giugno 2010

Citazione di una mia saggia amica

"Ho passato una vita con gente che mi ha detto giorno dopo giorno quanto fossi piccola, incapace, inutile... dicendomi che non avrebbero mai fatto i miei errori... ora mi ritrovo con una vita meravigliosa e tutti loro pieni fino al collo di insoddisfazioni e tragedie che hanno creato con le loro mani"


Grazie Madda.

sabato 26 giugno 2010





"Chi non cade mai, non si rialza mai." - Fedor

martedì 15 giugno 2010

Rinnegare non fa male

Brucio gli antichi testi e mi disfo di ciò che pesa.
Ci provo ma non riesco a seguire quello che insegnano,
perchè non sono come loro, la mia spinta di luce ha perso la forza
la mia faccia sorridente è stata strappata con un coltello
La mia anima è dannata, così come il mio cuore
Che la mia memoria sia offuscata, che il mio nome venga maledetto!

Non me ne pento
Pensano sia facile conoscere
Pensano sia facile essere un mostro
Un'ombra, in un mondo di luce

Qualcuno forse invidia
Sono io che vi invidio
invidio la vostra leggerezza.

Vi odio.

lunedì 14 giugno 2010

Storia di un ragazzo normale




Ultimamente Michael pensava spesso alla morte, insomma, alla sua morte. Si figurava il cadavere disteso a terra, il proprio corpo, e riavvolgeva il nastro. Un uomo incappucciato entrava in casa e lo massacrava a colpi di machete senza che lui potesse difendersi. Cosa avrebbe detto il telegiornale? Era un ragazzo dolce e sensibile e pieno di amici? Avrebbero fatto come al solito, senza conoscere la verità. Non era una bella scena, sangue, arti mozzati, budella riverse a terra. Non era uno spettacolo gradevole ma era il suo spettacolo, creato autonomamente dalla sua mente e per questo non gli dispiaceva.
Michael abitava in un piccolo paese dell'Inghilterra sulla costa est, a soli venti minuti dal mare.
La sua gente non era come quellaa di Londra, non era fredda e scostante, era calda e premurosa ma questo al ragazzo non piaceva, perchè lui era gelido, quasi privo di vita, come se nulla gli importasse..sarebbe dovuto nascere a londra.
Un mostro, a beast inside, in un mondo di agnelli.
E così, mentre era intento a immaginarsi scene macabre in cui il Killer che l'aveva smembrato se ne andava in giro nel quartiere, casa per casa, a decapitare e squartare, si accorse che quell'uomo si era voltato e si toglieva il passamontagna: quel volto era familiare, capelli castani, occhi chiari, un sorriso quasi innaturale stampato sul viso imbrattato di plasma umano, sporco nonostante prima fosse coperto da un indumento; nemmeno il tessuto avrebbe potuto coprire quel senso di colpa, il senso di colpa di non avere un senso di colpa.
Già, Michael, come un fulmine a ciel sereno, si rese conto che il volto del Killer era il suo stesso volto e che lui a furia di rumuginare e lambiccarsi il cervello era diventato pazzo...
L'impatto con l'asfalto fu tremendo, solo per il corpo, non per l'anima.

Cyrano





Venite pure avanti, voi con il naso corto, signori imbellettati, io più non vi sopporto,
infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio perchè con questa spada vi uccido quando voglio.

Venite pure avanti poeti sgangherati, inutili cantanti di giorni sciagurati,
buffoni che campate di versi senza forza avrete soldi e gloria, ma non avete scorza;
godetevi il successo, godete finchè dura, che il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura
e andate chissà dove per non pagar le tasse col ghigno e l' ignoranza dei primi della classe.
Io sono solo un povero cadetto di Guascogna, però non la sopporto la gente che non sogna.
Gli orpelli? L'arrivismo? All' amo non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco,

io non perdono, non perdono e tocco!

Facciamola finita, venite tutti avanti nuovi protagonisti, politici rampanti,
venite portaborse, ruffiani e mezze calze, feroci conduttori di trasmissioni false
che avete spesso fatto del qualunquismo un arte, coraggio liberisti, buttate giù le carte
tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese in questo benedetto, assurdo bel paese.
Non me ne frega niente se anch' io sono sbagliato, spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato;
coi furbi e i prepotenti da sempre mi balocco e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!

Ma quando sono solo con questo naso al piede
che almeno di mezz' ora da sempre mi precede
si spegne la mia rabbia e ricordo con dolore
che a me è quasi proibito il sogno di un amore;
non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute,
per colpa o per destino le donne le ho perdute
e quando sento il peso d' essere sempre solo
mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo,

ma dentro di me sento che il grande amore esiste,
amo senza peccato, amo, ma sono triste
perchè Rossana è bella, siamo così diversi,
a parlarle non riesco: le parlerò coi versi, le parlerò coi versi...

Venite gente vuota, facciamola finita, voi preti che vendete a tutti un' altra vita;
se c'è, come voi dite, un Dio nell' infinito, guardatevi nel cuore, l' avete già tradito
e voi materialisti, col vostro chiodo fisso, che Dio è morto e l' uomo è solo in questo abisso,
le verità cercate per terra, da maiali, tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali;

tornate a casa nani, levatevi davanti, per la mia rabbia enorme mi servono giganti.
Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco,

io non perdono, non perdono e tocco!

Io tocco i miei nemici col naso e con la spada,
ma in questa vita oggi non trovo più la strada.

Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo,
tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo:
dev' esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto
dove non soffriremo e tutto sarà giusto.
Non ridere, ti prego, di queste mie parole,
io sono solo un' ombra e tu, Rossana, il sole,
ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora
ed io non mi nascondo sotto la tua dimora
perchè oramai lo sento, non ho sofferto invano,
se mi ami come sono, per sempre tuo, per sempre tuo, per sempre tuo...Cirano


domenica 13 giugno 2010

Gli scacchi



La Morte vuole la Morte
Il Cavaliere vuole la Vita

La Morte vuole la Malinconia
Il Cavaliere vuole la Serenità

La Morte vuole l'Asfalto
Il Cavaliere vuole la Vetta

La Morte vuole la Lama
Il Cavaliere vuole Sicurezza

La Morte vuole la Nullafacenza
Il Cavaliere vuole la Morte di sé

La Morte vuole il Gelo
Il Cavaliere vuole il Sentimento

La Morte vuole la Resa
Il Cavaliere vuole la Lotta

La Morte vuole la Realtà
Il Cavaliere vuole il Segno

La Morte vuole lo Scudo
Il Cavaliere vuole la Spada

La Morte vuole l'Eccesso
Il Cavaliere vuole l'Equilibrio

La Morte vuole l'Omologazione
Il Cavaliere vuole la Personalizzazione

La Morte vuole la Debolezza
Il Cavaliere vuole la Forza

La morte mi vuole tra i Perdenti
Il Cavaliere mi vuole eretto su una Pila di Carcasse


Così, fendente dopo fendente, la guerra tra di loro mi riduce a brandelli sempre più piccoli, generando il vuoto, un vuoto cosmico e incolmabile, da cui non si può tornare [...]

venerdì 11 giugno 2010

Frammenti del passato - L'amico e il destriero (Parte 1)


La fitta alla coscia sinistra riportò Atlas alla realtà, facendogli sbarrare gli occhi di scatto. Nel guardarsi intorno si ricordò di dove fosse, in un bosco, un agglomerato vegetale immenso fatto di alberi secolari, colline erbose, radure e cespugli. Era passato un anno da quando aveva lasciato la Torre dei Draghi a Dub, 300 giorni secondo il calendario della sua terra natia da quando il suo miglior allievo Mithrandir gli aveva inferto quella ferita alla gamba, uno squarcio nelle carni e nel cuore. L’uomo cercò di allontanare quel ricordo dalla mente scuotendo il capo, alzandosi in piedi fece scivolare la schiena contro il tronco di un albero e usò entrambi i piedi come perno per tornare eretto. I suoi occhi azzurri non smettevano di sondare il circondario ed egli non poteva finire di chiedersi perché si fosse svegliato di soprassalto a quel modo. Era Impossibile che fosse per quella piccola cicatrice sulla coscia, sapeva che quello era un dolore che veniva dalla testa, dai suoi sentimenti, e non dalla pelle ormai rimarginata e dal muscolo rimasto intatto. All’improvviso venne la risposta, Atlas tese le orecchie, arricciò il naso: rumore di zoccoli sulla terra erbosa, odore di uomini che non si lavano da giorni costretti dentro le armature. Il guerriero recuperò la cintola con le due sciabole gemelle legandosela in vita e afferrò l’arco lungo nella sinistra e la faretra nella destra, scivolando silenziosamente dietro il robusto tronco di un platano. Rimase vigile, in attesa, osava respirare solo ogni due o tre secondi e la corazza in cuoio borchiato si gonfiava e sgonfiava sotto le spinte del suo ampio petto. Dopo qualche secondo l’uomo vide sfilare innanzi a sé almeno dodici miliziani: erano fisicamente possenti e galoppavano in groppa a destrieri dalla rara bellezza. Marroni o fulvi, neri o bianchi, i muscoli guizzavano sotto la pelle lucida a testimonianza della potenza di quel palafreni. I loro cavalieri indossavano corazze a scaglie ed elmi piumati che malcelavano folte chiome di colore chiaro, in mano stringevano delle lunghe lance e ai fianchi portavano delle asce dalla lama brunita, solo uno di loro, colui che era in testa, teneva infoderata alla cintola una spada ad una mano e mezza dal pomolo squadrato.

Atlas conosceva da sempre la fama di quei cavalcatori e domatori di equini, erano gli uomini di Rothar, un paese a Nord guidato da generazioni di Re bellicosi ma giusti, a parte alcune ovvie eccezioni. Il bosco in cui si trovava era quello del Vineland e rientrava nel territorio di Rothar, paese al quale il guerriero era diretto. Lasciò che quella dozzina di soldati sfilasse via lungo il sentiero nella foresta, diretta chissà dove, poi controllò che il suo equipaggiamento fosse apposto: infoderò per bene le sciabole nelle guaine di cuoio rigido, si portò l’arco a tracolla e la faretra, contenente dodici frecce a stiletto dal piumaggio viola sulla spalla destra e riprese il cammino, tenendosi distante dal tratturo che violava la vegetazione abitualmente usato da viaggiatori, soldati, mercanti e pastori.

Atlas camminò per un giorno intero, procedere a piedi in mezzo al bosco del Vineland non era certo agevole né rapido, doveva farsi strada attraverso intricate composizioni vegetali e aggirare intere formazioni di alberi. Viaggiò per tutto il giorno, bevendo dalle acque chiare di un ruscello che scendeva verso ovest e cacciando un grosso cinghiale che mangiò per cena.

L’indomani, mancarono all’uomo solo poche miglia prima di uscire dall’ultima fila di alberi del bosco e ritrovarsi su un alto colle che dominava la vallata. Da qui, infondo, verso nord est, Atlas poteva vedere le mura di cinta di Rothar costruite in grezza pietra scura, solida e funzionale come le genti che abitavano la città. In poco meno di due ore a rapido passo il guerriero raggiunse l’entrata del Regno, un solido portale in legno ferrato composto da due ante sbarrate. Non ci volle molto alle sentinelle per avvistarlo dall’alto dei camminamenti. Uno di loro, vestito di un corpetto di cuoio bollito e armato di arco fece sentire la sua voce:

- Buongiorno, è obbligo presentarsi e fornire una valida motivazione prima di avere il permesso per entrare a Rothar! – tuonò, con un tono duro e un accento affettato da nordico.

- Sono Atlas Van Tassel, vengo da Dub, a Sud, e sono qui per offrire i miei servigi come mercenario – rispose subito con voce calma ma ferma.

La sentinella sparì dietro i merli, probabilmente per confabulare con qualche altra guardia circa la possibilità di farlo entrare. Atlas era ben lungi dallo spazientirsi, anche se l’uomo si fece rivedere solo dopo qualche minuto, e con un secco – Avete il permesso di entrare! – diede l’ordine di aprire le porte. Quelle due ante, alte circa quattro metri e larghe poco di meno, si schiusero con un fragore assordante innanzi al guerriero che, dopo essersi esibito in un frettoloso inchino verso le sentinelle, si affrettò a procedere all’interno delle mura guardandosi attorno. Rothar era proprio come lui l’aveva immaginata, strada sterrata, case rustiche in pietra, paglia e legno, botteghe artigianali, taverne. Sì! Una taverna, proprio quello che cercava. Atlas vi entrò, fu subito colpito dall’odore del vino e della birra, del sudore e del tabacco da pipa che permeava la stanza non di certo grande, germita di gente e di tavolacci logori come le sedie. Infondo c’era un lungo bancone di legno e, dietro questo, un oste zoppo e smilzo, dall’aria stanca. Il guerriero si rifocillò, bevendo del vino e mangiando del pollo freddo data la calura della stagione estiva, dopodichè uscì incamminandosi verso il palazzo del Re. La costruzione era in legno e pietra, rettangolare, piena di decorazioni simili a tribali raffiguranti motivi di guerra, di caccia a cavallo e arborei. Le guardie all’ingresso erano evidentemente già state avvisate del suo arrivo e fu fatto entrare dopo una breve presentazione. Un uomo lo scortò lungo un corridoio costeggiato da stanze, le pareti erano ricche di arazzi in stoffa pregiata.

Quando entrà nell’ampia sala del trono, il guerriero vide un lungo tavolo rettangolare e, dopo due o tre gradini, su un rialzo, il trono in legno massiccio su cui era seduto il sovrano di Rothar, i due poterono scandagliarsi vicendevolmente: Atlas aveva circa trentatrè anni e si ergeva per poco più di un metro e ottanta. Portava lunghi capelli neri e un folto pizzetto brizzolato comprensivo di baffi. La schiena era eretta, il fisico tonico e avvezzo alla battaglia. Oltre alla corazza borchiata e alle armi, l’uomo indossava dei calzoni in stoffa leggera marrone infilati in un paio di stivali di cuoio e dei guanti a mezzedita. I suoi occhi erano del colore del ghiaccio, incastonati in un volto maturo e segnato dalla vita, penetranti come pochi altri. Gunnar Ingvarsson, il Re di Rothar, dimostrava circa cinquant’anni ma il vigore era ben lungi dallo sparire dal suo corpo. L’altezza era di certo elevata e le spalle erano larghe, su queste poggiava un collo da toro e un volto segnato da rughe e cicatrici. I capelli erano lunghi, tra il biondo e il grigio e gli occhi azzurri, leggermente acquosi. Vestiva con una semplice tunica rossa che arrivava fino a metà coscia, stretta in vita da una cintola di cuoio. I calzoni erano in stoffa nera e gli stivali in morbida pelle. Il Sovrano si rivolse così al visitatore

- Ben giunto sir Atlas, la voce sul vostro arrivo si è sparsa immediatamente nel mio piccolo borgo e noi saremo lieti di accogliervi come mercenario tra le nostre fila, vista la guerra imminente – la voce era baritonale e rauca, molto di più di quella di Atlas quando rispose

- Kalwar Re – utilizzò il saluto della sua vecchia gilda, chinando il capo – ho saputo che il regno vicino di Talamar intende muovervi guerra per una contesa territoriale –

- E’ vero, purtroppo sono almeno tre anni che Talamar non accetta la nostra supremazia sul Vineland. Tale regione comprende colline, campi da coltivare e boschi. Tutto ciò che serve a noi gente del nord per sopravvivere. Gli abbiamo imposto delle giuste tasse ma non hanno voluto sentire ragioni. Arriveranno, mi dicono i miei esploratori, tra qualche giorno –

- Ho avuto modo di vedere i vostri uomini, proprio nel bosco, mio signore. Sono d’accordo con voi e trovo giusta la vostra opposizione in armi. Vi aiuterò per quanto potrò, a patto ovviamente di ricevere una buona ricompensa – aggiunse Atlas, sorridendo.

- Suvvia, c’è bisogno di dirlo? Non ci aspettavamo certo che voi rischiaste la vita gratuitamente per della gente che non è la vostra! Avrete, a battaglia conclusa, duecento monete d’oro e, se vorrete, un cavallo. E’ tutto quello che posso offrirvi.

- Sarà più che sufficiente. I vostri destrieri valgono molto più che qualche pezzo di metallo –

Fu il Re a sorridere, questa volta.

- Già! Ma dovrete superare una prova, non possiamo prendere un inetto nel nostro esercito, ne andrebbe della nostra sicurezza –

- Capisco bene e non mi aspettavo certo di essere assunto senza dare dimostrazione delle mie capacità

- Cominceremo subito allora, se non siete troppo stanco –

- Sono pronto – Rispose Atlas, facendo due passi indietro.

In quel momento, la porta posta subito alle spalle del trono si aprì e ne emerse un vero e proprio energumeno. Era alto almeno dieci centimetri più del mercenario e aveva spalle decisamente possenti, petto ampio, ventre pasciuto, lunghi capelli rossicci e mossi rasati ai lati e una folta barba ramata. Indossava una cotta di maglia e stringeva nella destra un’ascia con lama a becco lunga almeno quanto lui. Subito dopo essere entrato l’uomo parlò, rude e diretto:

- Sono Garm figlio di Skarr, Maestro D’armi del palazzo. Come è d’usanza dalle nostre parti ci affronteremo in un duello al primo sangue. Se verrete ritenuto degno, potrete servire in questa guerra come mercenario. Altrimenti vi verranno prestate le cure del caso e sarete costretto a lasciare la città –

Atlas non aveva mai perso un duello negli ultimi dieci anni, la sua abilità di spadaccino era diventata sopraffina ma quel guerriero immenso gli dava l’impressione di essere un vero osso duro. L’uomo si tolse l’arco e la faretra dalla tracolla, sistemò la corazza ed estrasse le due sciabole, avanzando e fermandosi a circa quattro metri da Garm. Subito dopo si mise in guardia, il braccio destro proteso in posta lunga con la spada del medesimo lato diretta in linea d’aria al petto dell’avversario, gomito sinistro flesso e appoggiato al fianco, punta ricurva della sciabola verso l’alto con l’intera lama che andava quindi a proteggere il lato mancino del corpo. Gamba destra avanti, sinistra indietro, ginocchia flesse. Il maestro d’armi non si fece attendere e balzò in avanti sferrando un temibile fendente, dall’alto verso il basso nel tentativo di colpire la spalla destra di Atlas che in un attimo scartò all’indietro, agilmente, facendolo andare a vuoto. Il guerriero abbassò la sciabola destra tentando di andare a mozzare l’asta dell’ascia ma Garm fu rapido a risollevare la sua arma parando il colpo e tentando un nuovo attacco, questa volta dal basso verso l’alto mirato al ventre di Atlas che schivò ancora, uscendo lateralmente a sinistra dalla traiettoria della scure. In quel momento il mercenario scattò in avanti per ridurre le distanze e poter colpire ma il maestro d’armi agì in modo intelligente indietreggiando e portando a compimento un altro fendente di ascia che Atlas fu costretto a parare con entrambe le sciabole. I fili delle sottili armi colpirono l’asta di legno della lunga scure scheggiandola, ma la lama della spada sinistra, con un sonoro “tlack”, uscì dall’inserto nell’elsa e cadde impattando al suolo, rimbalzandovi contro due o tre volte. Atlas era riuscito a non sbilanciarsi e a non farsi colpire bloccando quel temibile fendente ma ora si ritrovava con una sola spada e con l’avversario sempre più agguerrito, tuttavia non ci sarebbe mai stato un momento migliore per chiudere lo scontro. Il mercenario scattò verso Garm tenendo la sciabola destra, l’unica rimastagli, sotto l’asta dell’ascia in modo da tenerla incastrata contro l’elsa e raggiunse il suo nemico mentre questi cercava di indietreggiare. Atlas si accovacciò fulmineo e sferrò un colpo di forza controllata, diagonale da destra verso sinistra andando a squarciare lo stivale destro di Garm all’altezza della tibia, aprendogli una piccola ferita nello strato superficiale dell’epidermide e dando così termine al duello.

Dopo gli applausi di Gunnar e dei presenti, e i complimenti amichevoli di uno zoppicante Garm, Atlas fu ufficialmente assunto come mercenario e gli fu data una stanza alla locanda. Il più era fatto, l’uomo ora avrebbe solo dovuto attendere la guerra per dimostrarsi ancora una volta degno del Dio Ares, degno di definirsi guerriero, avrebbe dovuto solo aspettare l’adrenalina dello scontro e il sangue, per potersi sentire di nuovo vivo dopo tanto tempo.